Alcune Opere di Trento Longaretti
L’amore per una città
Ho riscoperto Bergamo alta grazie al mio
amico Trento. Da piccola ci andavo con
mio padre, comperavamo certi dolci gialli al
liquore che piacevano molto a mia madre.
Poi tanti anni altrove, via per studio e lavoro,
ma lui, il pittore, mi ha insegnato ad
amare la sua città vecchia trasmettendomi
parte di quella tenerezza che sente per le
sue strade strette, sdrucciolevoli quando
piove. Tutti i posti hanno un odore e un
colore che restano dentro.
Quelli che ho in mente legati a Bergamo
sono il bianco rosato delle pietre restaurate
di palazzi e chiese nei dintorni
dell’Università e il profumo dei casoncelli di
certe trattorie lì vicino.
Negli anni abbiamo costruito i nostri ritmi.
Quando vado a trovarlo, Longaretti mi
aspetta nello studio all’ultimo piano della
sua casa in Borgo Canale. È una stanza
oblunga affacciata su un cortile acciottolato.
Da una parete a finestre entra una luce
straordinaria. Di solito sta dipingendo e
sotto il camiciotto da lavoro è elegantissimo.
Parliamo un po’ di mostre, qualche
novità della nostra vita, sfogliamo libri,
cataloghi, guardiamo i lavori appena ultimati.
Poi usciamo. Sempre lo stesso giro e
ogni volta mi accorgo di un portone che mi
era sfuggito, un fregio in alto, appena
sopra le finestre dell’ultimo piano di una
casa, un balcone in ferro battuto.
Camminando mi parla dei personaggi che
hanno calcato quelle stesse vie, degli
amici pittori scomparsi, di qualche giovane
che sta venendo su bene. Se abbiamo
tempo arriviamo fino all’Accademia, il
posto dove ha trascorso una lunga parte
della propria vita, dirigendola dal 1953 al
1978. Parlando di quel periodo un po’ la
voce si incrina, forse il rimpianto di anni
pieni di ardore. Ma prima dell’Accademia e
delle centinaia di ragazzi che hanno lavorato
con lui, Trento ha trascorso il tempo
della sua formazione a Milano.
Il professore di disegno delle scuole di
avviamento aveva fatto chiamare suo padre
per dirgli che il ragazzo doveva a ogni
costo continuare gli studi. Però andai a
Brera, racconta, non alla Carrara perché la
gente di Treviglio si spostava più verso
Milano che in direzione di Bergamo. A
Milano va in treno ogni mattina, con in cartella
i panini per il pranzo. La timidezza e i
pochi mezzi lo fanno sentire inadeguato,
così mangia in disparte dagli altri. Ma con il
trascorrere delle settimane scopre che
anche i compagni di classe hanno gli stessi
suoi problemi e comincia un’avventura
fatta di discussioni sul senso dell’arte in
quegli anni precari e duri.
Cassinari era lì, quando sono arrivato io,
nel 1935. Frequentavano i corsi con noi
anche Badodi al penultimo anno, Guerzoni,
Uboldi, Kodra, Dobrzansky, Felice Filippini
che era l’assistente di Carpi. Invece
Bergolli ha cominciato dopo, nel 1937 e
Morlotti nel 1939. A Brera negli anni Trenta
insegnavano Messina, Marini, Funi e Carpi.
Longaretti sceglie i personaggi inquieti di
Carpi e la loro ingombrante malinconia.
Intanto scopre Modigliani e Cézanne, i
maestri sogguardati per tutta la vita.
Bergamo entra nel suo quotidiano solo
attraverso le prime collettive o la partecipazione
a varie edizioni del “Premio
Bergamo”, divenuto nel tempo un glorioso
campo di verifiche artistiche.
La seduzione che la città esercita sul suo
temperamento aumenta quando comincia
a viverci, finita la guerra e si trasforma in
reciproco rispetto nei venticinque anni di
insegnamento alla Carrara. Longaretti
porta i suoi vaganti, le sue madri, le sue
religiosissime nature morte in ogni parte del
mondo, ma il luogo dove torna sempre con
impazienza è la cittadella che ormai ha
eletto a patria sentimentale. Oggi, a oltre
novant’anni, ne è quasi diventato un simbolo
e la gente lo saluta con un misto di
venerazione e sorpresa. Perché lui, il pittore
di Bergamo, dopo averti invitato a colazione
e riso e raccontato qualche vecchia
storia, a un certo punto si alza, prende il
cappello e dice, devo andare, ho un quadro
sul cavalletto da finire per domani
Trento Longaretti – Fondazione Credito Bergamasco
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