Treviglio Amarcord

Treviglio Amarcord, un tuffo nel passato cittadino fino ai giorni nostri.Ricordi, curiosità, racconti, foto, filmati, cartoline, documenti e disegni storici della città. Da un’idea di Virginio Monzio Compagnoni. email: [email protected] Buon Amarcord a tutti !!

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Treviglio Amarcord Di Tutto e di Più

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Treviglio : Via Bernardino Butinone

Dizionario del Dialetto di Treviglio

Ermanno Olmi

Piazza Garibaldi

Villa Ida

I proprietari del Bar Teatro

Cartolina Treviglio

Treviglio in cartolina.  

T u t t o T r e v i g l i o 

Treviglio : Schola Cantorum Giugno 1996

Bruno Manenti

Trento Longaretti

 

 

 

1 5 0 0 Immagini di Treviglio

 

 

Mandelli Mariella

Treviglio anno dopo anno

             Metamorfosi

            Piazza Garibaldi .1960

Albero degli Zoccoli

Via Mazzini / Largo 1° Maggio

ex Upim Treviglio

È morto a cento anni Trento Longaretti

Personaggi Trevigliesi

Mandelli Mariella

Le Rogge Trevigliesi

Palpaquaie ( Treviglio Amarcord )

     Dizionario  dialetto trevigliese 

 Basilica di San Martino

ex Upim Treviglio

dove è finito l’obelisco di via Cavallotti?

Trevigliese 1907

‘L cantù d’ì telemòre

 

….cambiamenti….

….la fine del Teatro

….Trevigliesi in serie A…..

…Andrea Verga, senatore…..Giacomo Sangalli

in visita alla Same

 

Treviglio che passa

Arturo Prandina

Correva l’anno 1522

1978 :Palma d’Oro al Festival di Cannes per «L’albero degli zoccoli»

Same ieri ed oggi

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Corriere della sera 2002

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Amarcord Treviglio

(6 aprile 2002) – Corriere della Sera

Ermanno Olmi: «Qui vidi davvero l’ albero degli zoccoli»

 TREVIGLIO – Profumo di casa per Ermanno Olmi. Il grande regista, autore di capolavori come «Il posto», «L’ albero degli zoccoli», o il recente «Il mestiere delle armi», torna oggi a Treviglio, luogo del cuore della sua infanzia, culla di affetti e di memorie. Un ritorno un po’ speciale, una festa a sorpresa organizzata da un amico, Marco Vitale, economista di fama oltre che presidente di una fabbrica di trattori locale, la Same Deutz-Fahr. E sarà proprio nell’ Auditorium della ditta che oggi pomeriggio gli abitanti del paese si daranno appuntamento per salutare quel ragazzo d’ una volta, dai capelli rosso-malpelo ormai addolciti da tocchi d’ argento. Lì Vitale saluterà Olmi, lì Corrado Stajano, scrittore e amico del regista, converserà con lui intrecciando fili di antichi pensieri. E sempre lì, la Compagnia Teatrale Zanovello rappresenterà«A dispét de tocc mor nisù», omaggio al dialetto locale, mentre Alfredo Ferri evocherà «ricordi trevigliesi».

Ermanno Olmi«Sono nato a Bergamo ma è Treviglio il luogo della mia seconda nascita – racconta Olmi -. Qui è avvenuta per me la scoperta del mondo, la grande emozione che mi ha scaraventato nella vita». Centro di quel piccolo universo la cascina di Elisabetta Ronchi, la nonna materna del regista, scomparsa nel ‘ 54. «Ero il suo nipote preferito, forse perché aveva i capelli rossi come me – sorride Olmi -. Una figura forte e dolcissima. Una vera “rezdora”, capace di far filare tutti ma anche di raccontare straordinarie favole vere. Come quella del contadino che tagliò un faggio per fare gli zoccoli ai suoi figli. Quando, tanti anni dopo, la raccontai nel mio “Albero degli zoccoli”, tutti a chiedermi: come ti è venuto in mente un soggetto così singolare? Non è mio, ma di mia nonna, spiegavo io». Curiosamente, a legarlo per sempre a quel mondo contadino, furono una serie di guai familiari. «Mio padre, macchinista delle ferrovie, si ritrovò senza lavoro perché, da bravo socialista, non volle mai iscriversi al partito fascista. Le ristrettezze economiche ci costrinsero così a lasciare il comodo appartamento milanese di via Imbriani per un altro, molto più modesto. Allora, per non farmi troppo immalinconire, la mamma mi spedì dalla nonna. Una campagna sotto casa che divenne la mia villeggiatura fissa. Dai tre ai vent’ anni sono tornato qui ogni estate. Qui ho imparato ad apprezzare le luci, i colori, gli odori della terra, il profumo dell’ erba, il piacevole afrore della stalla. Tanto da trovar fastidioso, al ritorno in città, l’ odore del tram o quello dell’ olio di macchina intriso nelle tute degli operai. Ce l’ ho ancora nel naso, quando mio padre mi abbracciava». E a Treviglio anche i primi amici. «Come quell’ Angelino, il figlio del ciabattino, il mio amico del cuore. Con lui si andava sui carri a cavallo a veder tagliare l’ erba e raccogliere il grano. Qualche anno fa tornai qui per qualche ora. Mi venne voglia di entrare in chiesa. C’ era un matrimonio. Stavo per uscire quando mi raggiunse un uomo con i capelli bianchi vestito elegante. Il padre della sposa. “Ermanno – gridò – sono io, Angelino”. Ci abbracciammo. Mi piacerebbe tornare a salire su un carro di fieno con lui». Giuseppina Manin

Manin Giuseppina

(6 aprile 2002) – Corriere della Sera[banner]

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Chiesetta degli Alpini

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[banner size=”468X60″].……..L’Albero degli zoccoli ..ambientazione storica

la chiesetta del Roccolo

(nota come Madonna degli Alpini )
Questa chiesa è molto cara ad Ermanno Olmi che proprio al Roccolo si era sposato.

Foto
Va detto però che tale costruzione andrebbe fatta risalire agli inizi del Novecento
e ciò è in contrasto con l’anno di riferimento del film che è il 1898.
A supporto però dell’idea che proprio questa minuscola chiesetta immersa
nella campagna fosse quella che Olmi aveva in mente, vi è il fatto che proprio
dietro scorreva un fosso, immerso nella vegetazione. Che è quello che si vede nella scena del film.
Roccolo biligot 1983
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Treviglio Personaggi : al Mesagiù

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 Treviglio Personaggi : al Mesagiù

Treviglio Personaggi : al Mesagiù

Nel film l’Albero degli zoccoli rappresenta il proprietario terriero, padrone dei terreni e della cascina, che decide di scacciare Batistì e la sua famiglia dopo aver scoperto che il suo mezzadro ha tagliato uno degli alberi per ricavarne un paio di zoccoli per il figlio.
Il Mesagiù è un personaggio realmente esistito a Treviglio, anche se in un epoca successiva a quella nella quale si svolgono i fatti che vengono narrati nel film (nacque infatti alla fine del 1800 e il film è ambientato tra il 1897 e il 1898). Fu anzi un personaggio piuttosto famoso. Tutto lascia supporre che, avendo Ermanno Olmi costruito la trama sulla base di quanto raccontato dalla nonna, che riportava racconti orali che circolavano nell’ambiente contadino, non sempre la scansione cronologica è sempre stata rispettata correttamente. Così come l’iconografia del personaggio a livello popolare potrebbe essere diversa da quella riportata a livello storico. E questo sembra il caso del Mesagiù.
Quanto descritto qui di seguito è nella “Storia di Treviglio” ad opera di don Piero Perego e Ildebrando Santagiuliana.« (…) Fra le vecchie ditte commerciali furono prevalenti quelle che trattarono il vino, specialmente la Perego-Ausenda. L’argomento porta a ricordare un commerciante vinicolo, tipica figura trevigliese: Giuseppe Messaggi, conosciuto popolarmente sotto il nome di “Mesagiù” per la figura imponente (pesava più di 170 chili), che continuò la ditta Perego-Ausenda.i-fose-de-via-filagno

 Di convinzioni liberali secondo il vecchio stampo (era genero di Engel, avendone sposato la figlia Camilla), non faceva però alcuna distinzione quando si trattava di soccorrere i bisognosi o di aderire a una giusta richiesta ma, antifascista e anticlericale, dava ai clericali e ai fascisti con uguale larghezza. Ancora oggi, v’è la colonia “Messaggi” a Oltre il Colle, lascito al Comune dopo la sua morte, ove si recava in vita a villeggiare.
L’orfanotrofio maschile in modo particolare, ma anche altre istituzioni di Treviglio, possono ricordare il suo nome con gratitudine. »(Piero Perego, Ildebrando Santagiuliana. Storia di Treviglio. Parte Seconda, Edizioni Pro Loco Treviglio, 1987)

http://www.alberodeglizoccoli.net

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www.albero degli zoccoli

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Chi come me è nato alla fine degli anni Sessanta nella bassa bergamasca ha avuto la fortuna di vivere, ancora per poco, quel che restava di un mondo che oggi purtroppo non esiste più. Le grandi distese di campagna stavano già lasciando spazio all’espansione dei centri abitati, ai capannoni, alle strade, ai grandi ripetitori, insomma a quello che è oggi il paesaggio della nostra pianura.

E assieme al paesaggio se ne sono andati per sempre personaggi, tradizioni, riti, modi di vivere che affondavano le radici in una cultura millenaria.
 - www.alberodeglizoccoli.net - www.alberodeglizoccoli.net - www.alberodeglizoccoli.net - www.alberodeglizoccoli.net
Certo, per molti aspetti grazie al progresso si vive meglio. Ma aver abbandonato i ritmi della natura, i suoi cicli, ci ha lasciato in eredità un bagaglio di fobie e nevrosi. E le paure e il ‘mal di vivere’ oggi così diffusi sono figli di una società che ha perso le sue radici. La terra stessa sembra oggi ribellarsi, con i mutamenti climatici che tanta preoccupazione destano.L’albero degli zoccoli ci propone una riscoperta di tutto quanto abbiamo irrimediabilmente perso. Vi sono anzitutto i contadini, con i loro ritmi legati alla terra e alle sue stagioni, le loro tradizioni, la loro religiosità, i loro valori semplici ma solidi (pensiamo all’insistenza con cui nel film si parla di ‘galantòm’). E poi c’è la natura che in tutto il film non si limita a fare da sfondo, ma entra prepotentemente come protagonista. Così semplice, a volte per noi che in questo mondo ci siamo nati anche banale, ma che grazie allo sguardo poetico del regista svela tutta la sua bellezza. E l’aria, un mondo scarso di rumori, nel quale lo scorrere dell’acqua o i rintocchi delle campane hanno un suono, non sono coperti da un mondo che non sa più star zitto.L’albero degli zoccoli è più attuale che mai. Ci racconta da dove veniamo, per capire realmente chi siamo, per far pace con quelle che lo stesso Ermanno Olmi definisce le tre dimensioni dell’uomo: passato, presente e futuro. E’ attuale nei suoi silenzi, riempiti solo dalle immagini e dai suoni della natura, detti ad un mondo oggi pieno di rumore. Racconta il buio a una realtà che non vuole spegnersi mai per non fermarsi mai.
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Questo sito internet vuole ripercorrere le tracce lasciate dal film a quasi 30 anni dalla sua uscita nelle sale. I luoghi ci raccontano di come il nostro mondo sia cambiato, tramite i personaggi possiamo rileggere in modo diverso la nostra storia, mentre il mondo dell’albero degli zoccoli presenta tutta una realtà nel film appena sfiorata. Vi è poi una sezione dedicata al film vero e proprio e naturalmente un capitolo riservato a Ermanno Olmi.Mi scuso se queste righe introduttive sono risultate noiose. Naturalmente mi prendo la responsabilità per qualunque informazione contenuta in questo sito errata o incompleta.
Spero che grazie ai mezzi della moderna tecnologia possiamo riappropriarci di qualcosa di noi, che è un pò la magia riuscita al mio illustre ‘concittadino’ Ermanno Olmi.
www.lalberodrglizoccoli.net
Paolo Miniero
(Treviglio, agosto 2007)[banner]
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Treviglio a fine Ottocento

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Come era Treviglio alla fine del 1800, quando Ermanno Olmi vi ambientò l’Albero degli zoccoli? Ecco la descrizione che Piero Perego e Ildebrando Santagiuliana, storici locali, ne fanno nel loro libro Storia di Treviglio.« Nei limiti posti dalle condizioni economiche, Treviglio ampliava la sua area urbana, ne migliorava la struttura e provvedeva a quelle attrezzature che le nuove esigenze di vita richiedevano.
Il vecchio centro rimaneva praticamente invariato nelle sue linee generali e forse l’opera più notevole che esso registrava consisteva nell’abbattimento dei portici di Santa Marta, non tanto per aver ciò posto in diretto contatto con la piazza il dedalo di casupole, che allora copriva l’area tra Via Verga e la circonvallazione, quanto perchè da quella prima apertura sarebbe nata l’esigenza di risanare, ridedificandola, tutta l’area stessa (…)(…) Il Palazzo Comunale si alzava di un piano nel 1873 e incorporava definitivamente i vecchi fabbricati di San Giuseppe e dell’Immacolata Concezione, non più carceri ormai, e tutto l’abitato si rivestiva di qualche modernità sotto la luce a gas del 1880 e sotto quella elettrica del 1896. (…)
L’elettricità era prodotta da una dinamo, azionata a mezzo di un salto di acqua della roggia in via Cavallotti. Dava illuminazione alle vie della città e forza motrice a molti opifici, tanto che ben 36 officine chiesero, per autonomia, di poter sfruttare i saldi d’acqua delle nostre rogge.Scomparivano le antiche bottegucce anguste e buie per dar luogo a negozi più vistosi, sorgevano nuove case d’abitazione, mentre la circonvallazione sfoggiava villette e giardini.
Il viale della stazione centrale si popolava di costruzioni e, con le quattro file di ippocastani e l’immediata vicinanza dei prati, diveniva la passeggiata serale d’obbligo per i trevigliesi. Anche la via dal Rivellino alla stazione ovest, rimodernata nel 1861, accoglieva qualche edificio (è in una cascina in questa via che abitava la nonna di Ermanno Olmi, ed è qui che il regista ha la sua conoscenza del mondo rurale trevigliese, N.d.A.), mentre le case operaie del Portaluppi si stendevano in rettilineo nella nuova via, che avrebbe avuto il suo nome e che si apriva fra gli edifici nuovissimi del Collegio salesiano, eretto nel 1894, e delle scuole comunali, inaugurate nel 1899 (…)(…)
Furono di quegli anni: l’acquedotto (1878), che fece scomparire in parte i numerosi pozzi pubblici sparsi per Treviglio. (…) Nel 1897 nasce a Treviglio, in via Milano, località Pezzoli, la fabbrica del ghiaccio artificiale. (…) Così il macello comunale, che tolse l’uso antico di macellare in pubblico nelle beccherie. (…)
Rimanevano però, accanto all’impegno di modernità, la pratica e il gusto di usanze antiche, come quella delle “grida”, che dall’alto del campanile scandiva ai quattro venti i turni delle irrigazioni o talune comunicazioni di carattere generale.
 
 Sono di questo tempo anche fatti di grave malcostume.
Usanze millenarie, come “l’albero di maggio”, tante volte vietato e tante volte eretto nell’ultima notte di aprile a celebrare, con inconsapevole rito pagano, il ritorno della primavera, e usanze gentili, come quella che recava il dono di un fiore nel giorno della Madonna delle Lacrime alla ragazza prescelta.

 

 

Consuetudini infine che punteggiavano di minute scadenze il giro dell’anno, riportando nell’ambito familiare un ordine antico di lavori, di divertimenti, di cibi tradizionali e in quello pubblico numerose celebrazioni rionali o cittadine, delle quali rimane oggi solo la fiera della Madonna delle Lacrime, immutata nella sua configurazione, anche se i trevigliesi hanno abbandonato la maggior parte delle consuetudini che l’accompagnavano, prima fra tutte quella di considerare il suo culmine, cioè il 28 febbraio, come ul giorno d’obbligo per indossare gli abiti di primavera e il cappello di paglia.

Tradizionale era forse anche la ricerca del divertimento, che portava i “signori” e la borghesia commerciante al veglione del Teatro Sociale, sagra mondana della città, mentre il popolo aveva i suoi balli e i suoi spettacoli al Teatro Prandina, in via Beltrame Buttinoni 

(…) Il che non reca la conlcusione di una Treviglio festaiola, poichè ciò era il contrappeso di giornate laboriose e abitualmente parche, di cui vediamo quasi una immagine nella folla che si affrettava lungo i marciapiedi a mezzogiorno o vi indugiava nell’ora del tramonto, lasciando le vie deserte nelle altre ore del giorno: folla in gran parte paesana, di contadini e oprai calzati di zoccoli e avvolti nel mantello nero, di “filandere” avvolte nello scialle.

Una folla, diciamo: una popolazione che certamente possedeva un suo equilibrio, ma che a tanta distanza di tempo, ci sembra un poco contradditoria, poichè accanto a una sensibile scarsezza di senso civico nutriva un diffuso campanilismo e, mentre soffriva di un certo complesso d’inferiorità nel giudicare la propria collettività, recava nel carattere individuale una qualche presunzione, antica componente del carattere trevigliese.[banner size=”468X60″ align=”aligncenter”]
Così come la stessa popolazione vediamo indugiare in stratificazioni sociali superate, giacchè fra i “signori”, facilmente rapportabili a una media borghesia di oggi, e il popolo lavoratore, rimaneva sentito un distacco, che non era solo di mezzi economici, mentre fra il contadino e l’abitante del centro urbano, cioè fra il “vilàn” e il “pisastil”, correvano una diffidenza e una consuetudine di rancore, non di rado sottolineate dall’uso offensivo del falcetto. »

(Piero Perego, Ildebrando Santagiuliana. Storia di Treviglio. Parte Seconda. Edizioni Pro Loco Treviglio, 1987)

(Piero Perego, Ildebrando Santagiuliana. Storia di Treviglio. Parte Seconda. Edizioni Pro Loco Treviglio, 1987)
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Pruèrbe de L’albero degli zoccoli

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Pruèrbe de L’albero degli zoccoli

Pruèrbe  da www.alberodeglizoccoli.net

Tuchèm mìa i pruèrbe, eh! (1) State mica a tocarceli.
Quando il mondo si reggeva sui proverbi, ‘l stàia cumè

sö d’i pilàster: franc, solido, diŝem (2).
A San’Agnés la lüŝèrta l’era derè a la ses (3).
“Mposibile” ‘l des chèl là, ‘l miscredente (4).
Ma lei l’è ‘ndato mai a vedere dietro la sese, dietro la siepe, se la lucertola c’è o no?
E’ andato sì o è andato no? ‘L respùnt pö (5).
Perchè ai proverbi o uno ci crede o sodonò amen.
Per dire: a la Madòna de la Seriöla, che l’è il 2 febbraio , de ‘l inverne sèm föra (6).
Noi di Treviglio ci abbiamo sempre creduto e l’è per questo che a la Madòna de Sant’Ustì (Madonna di S. Agostino, o Madonna delle Lacrime, festa patronale treviglieseche cade l’ultimo giorno di febbraio) metevamo su il vestito di mesa stagione.
E quelli che sono morti in quei giorni lì si contano su le punte de le dita, e nisü mort de frèc’! polmonite, magare bronchite cupa (uccide), ma assideramento mai.
“ma se dopo viene marzo – ‘l fa amò chèl là – ca ‘l è fiöl de ‘n baltròca, ura ‘l piöf e ura ‘l fiòca” (7). E lei ci dà ascolto al fiöl de ‘na mama isè (8)?
Ma vadi, vadi a…

(Tullio Santagiuliana – Pütàniga scèt! – 1983)

Traduzione:
(1) Non toccatemi i proverbi, eh!
(2) stava come su di un pilastro, franco, solido, diciamo.
(3) A Sant’Agnese la lucertala era dietro la siepe.
(4) “Impossibile” dice quello là, il miscredente
(5) Non ha risposto più
(6) Alla Madonna della Seriola dall’inverno siamo fuori.
(7) “ma se dopo viene marzo – dice ancora quello là– che è figlio di una buona donna, allora piove, allora nevica
(8) E lei da ascolto al figlio di una madre così?
I nostri temporali

“Gh’è sö ‘l tempuràl!”
Che tempuràl ‘l è?
“Che tempuràl al g’ha de ès?” (1)
Sa l’è ignorante la gente!
Prima di tutto c’è il temporale comune, no?

quanda ca ‘le de Casà cont an burdèl de ŝventade

e troni e mascelle, tru e masèle (2)
Poi c’è quello bergamasco: poca acqua e tanto fracasso, che si vede come che a Bergamo i’è cumpàgn d’ì paiŝà: larc de buca e strec’ de ma (3).
Poi ‘l tempuràl de Lot, ca töc i na got (4). Quello che ci pare un gran strano l’è che un temporale di Treviglio c’è mica. Noi ce ne ricordiamo uno solo.

 

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Il Villaggio di Cartone

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“Il villaggio di cartone”

Film di Ermanno Olmi. Il grande maestro del cinema italiano affronta la questione impellente dell’accoglienza agli immigrati ne “Il villaggio di cartone”, con un cast internazionale.

« Se non apriamo le nostre case, compresa la casa più intima, che è il nostro animo, siamo solo uomini di cartone »Ermanno Olmi 

Trama  : Una chiesa ormai inagibile viene dismessa alla presenza del vecchio parroco. L’ambiente viene spogliato di tutto l’arredamento sacro e nemmeno il grande crocifisso si salverà. Da questa situazione inizia una nuova vita per l’edificio, che, ormai privato di tutti gli aspetti liturgici e “istituzionali”, si trasforma nel luogo della concretizzazione viva della fede del vecchio sacerdote. Un luogo di desolazione si trasforma così in spazio di fratellanza e di accoglienza per un gruppo di extracomunitari africani senza permesso di soggiorno, incarnazione degli esclusi e degli emarginati della nostra società.

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