Treviglio Amarcord

Treviglio Amarcord, un tuffo nel passato cittadino fino ai giorni nostri.Ricordi, curiosità, racconti, foto, filmati, cartoline, documenti e disegni storici della città. Da un’idea di Virginio Monzio Compagnoni. email: [email protected] Buon Amarcord a tutti !!

Treviglio : I fatti storici

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Treviglio : I fatti storici
tratto da :http://www.alberodeglizoccoli.net

I fatti storici

 

Nel film l’Albero degli zoccoli si fa esplicito riferimento alla festa della Madonna delle Lacrime.

La festa, tradizione a Treviglio dalla metà del secolo XVI, trae origine da quanto accaduto il 28 febbraio 1522. Ecco il resoconto di quegli avvenimenti così come è descritto da Piero Perego e Ildebrando Stantagiuliana nel loro libro Storia di Treviglio

« Nel marzo 1521 Carlo V, da due anni imperatore, stringeva alleanza col pontefice contro Venezia e i Francesi, che avevano unito le loro forze.
Alla fine dell’estate la guerra appariva imminente e Treviglio era sottoposta a continue contribuzioni di viveri e a taglie da parte dell’esercito francese, comandato da Odit di Foix, visconte di Lautrec, che si trovava in Geradadda.
La situazione si alleggerì momentaneamente al principio dell’autunno, quando il Lautrec si ritirò in Milano, ma subito dopo lo stess doveva lasciare quella città sotto la pressione degli Imperiali, riparando a Como per poi ritirarsi a Cremona.
Treviglio si trovoò allora in un delicato frangente.
In Milano erano entrati gli Imperiali e con loro Francesco Sforza, figlio di Lodovico il Moro, acclamato come nuovo duca e, cosa a tutti nota, destinato a diventarlo presto. Le truppe imperiali erano a Rivolta, all’assedio di Trezzo e in altri luoghi vicini.

Fare adesione al nuovo governo milanese era cosa desideratissima e sembrava necessario; ma i Francesi, anche se si potevano prevedere perdenti nel prossimo conflitto, erano anch’essi vicini, contavano ancora buone forze e legittimamente consideravano Treviglio come terra a loro soggetta. Un’aperta dedizione agli Imperiali o un chiaro appoggio ai Francesi avrebbe potuto esporre il borgo a dure rappresaglie e, a quanto scrive il Lodi , contro tale pericolo anche Bartolomeo Rozzone da Milano avrebbe messo in guardia i Trevigliesi.

La Comunità, con un gesto intempestivo, aveva fatto atto di sottomissione a Milano e il Rozzone, mentre consigliava di tener segreto l’atto, avvertiva che era prudente comportarsi con imparzialità verso i due eserciti, da neutrali.
Il consiglio era però in buona parte inattuabile e infatti Milano, ricevuta l’adesione trevigliese, mandò il 10 novembre 1521 un suo podestà nel borgo: Filippo Baldo, che tornò subito a Milano, ma lasciò il suo luogotenente Francesco dei Landriani; il che era sufficiente a rendere di pubblica ragione la posizione di Treviglio. Tuttavia, seguendo il consiglio del Rozzone, si poteva ancora cercare di non inimicarsi apertamente i Francesi: ma anche qui, per sconsideratezza o per la propaganda del Landriani, acceso partigiano degli Imperiali, si arrivò presto a compromettersi.
Un reparto francese che da Como si recava a Cremona, dove l’esercito del Lautrec era acquartierato per svernare, aveva chiesto di entrare in Treviglio per ristorarsi, ma era stato respinto in malo modo dalle guardie delle porte. Un secondo gruppo, giunto in seguito, fu addirittura accolto a colpi di archibugio e inseguito fino a un piccolo ponte, che allora era presso l’Annunziata.
Come se ciò non bastasse, i Trevigliesi non seppero o non poterono negare gli aiuti richiesti dagli Imperiali e mandarono al loro servizio archibugieri e guastatori, inviarono armati all’assedio di Trezzo, accolsero e alloggiarono nel borgo truppe imperiali che poi, trasferite a Rivolta, rifornirono di viveri.

I Trevigliesi si resero conto di aver accumulato una serie di errori, ma speravano in una presa di posizione degli Imperiali in Geradadda.
Quando però seppero che il Landriani aveva chiesto un presidio imperiale e che questo era stato negato; quando conobbero che la Geradadda non sarebbe stata difesa, compresero di trovarsi in una situazione drammatica.

Di fronte al Lautrec, i cui metodi odiosi e crudeli di governo erano ben noti, essi erano dei ribelli e questa posizione, che nessuna spigazione avrebbe potuto attenuare, era aggravata dagli atti compiuti contro i reparti francesi e dalla insolente arroganza che li aveva resi più pesanti.
La preoccupazione divenne ansietà quando si seppe che il Lautrec, ricevuti grandi rinforzi, preparava un’azione offensiva contro il milanese.

Il 27 febbraio 1522 giunse la temuta conferma: l’esercito francese, partito da Cremona, entrava in Geradadda.
Travolta dal panico nell’imminenza del pericolo, la popolazione si affrettò in affannosa confusione a quei poveri rimedi che parevano ancora possibili: a fuggire nei boschi, ad acquattarsi nei nascondigli, a ripararsi nei luoghi sacri.

Il Landriani era scomparso; i consoli e i Sessanta nulla potevano.
Raccomandarono che si custodissero nei conventi le donne e i bambini e furono facilmente ascoltati: il monastero di Sant’Agostino fu presto gremito.
Inviarono messaggi urgenti a Bernabò Visconti , che stava a Brignano, e al prevosto di Pontirolo, sperando che l’amicizia del primo coi Francesi e l’autorità del secondo potessero aiutarli di fronte al Lautrec.
Venne il Visconti e, al calar della notte, giunse da Pontirolo il vicario generale Serbelloni con due canonici.
Intanto l’esercito francese si era portato ad occupare Rivolta e vi pernottava; ma come l’alba schiarì il cielo, si mosse da quel luogo e presto i trevigliesi videro le bandiere e udirono i tamburi delle colonne che, lungo la via di Casirate, marciavano su Treviglio.

I consoli uscirono da Porta Filagno.
Camminavano scalzi, corda al collo, recando le chiavi di Treviglio, e, quando furono alla presenza del Lautrec, si inginocchiarono, piangendo, chiedendo perdono e pietà per il borgo.
Ma il generale, senza considerarli, passò oltre; tuttavia, mentre si avvicinava alle mura, il Visconti riuscì a parlargli e lo indusse ad ascoltare ciò che i Trevigliesi potessero dire a loro discolpa.
Ma la condiscendenza del Lautrec era probabilmente solo apparente: un gesto di cortesia verso Bernabò; ed egli lo dimostrò quando, giunto alla piazza, mentre da ogni parte entrava la marea dei soldati, gli si fece incontro il vicario generale Serbelloni seguito da tutto il clero.
Dopo qualche attimo di formale attenzione, il Lautrec troncò il discorso del Serbelloni, dichiarando secco che i ribelli al re di Francia non potevano essere perdonati e, quando il vicario che già aveva preso congedo sconsolato, tornò sui suoi passi, sembrandogli di non aver abbastanza perorato la causa di Treviglio, rispose alle nuove preghiere con un definitivo rifiuto.

Treviglio : I fatti storici

Treviglio : I fatti storici

Il vicario tornò in San Martino, dove la folla grandissima stava con l’animo sospeso, immaginando di udire di lì a poco le grida e il rumore del saccheggio.
Ed ecco, quasi in risposta all’attesa di tutti, levarsi un grido lontano e subito venire da Sant’Agostino un concitato scampanare; ma ecco giungere anche voci sempre più distinte e più vicine: “Miracolo! Miracolo!”
Una simile voce, soprattutto in quel momento, non poteva, non diciamo, esere creduta, ma nemmeno compresa: non solo perchè nessuno, anche se talvolta vi spera, si attende un prodigio a risolvere i suoi casi, ma perchè tutti erano così convinti dell’imminenza della rovina, che qualsiasi cosa capace, non già di capovolgere la situazione, ma anche solo di renderla meno grave, doveva sembrare fantastica.
A questo punto lasciamoci condurre dal Lodi : “Pervenne in un subito il rumore di queste voci all’orecchio del Generale Lotrecco, il quale co’ frettolosi passi accompagnato da diversi Capitani e da altri Ufficiali, no’ fu tardo a vedere ciò che queste voci volean dire, e s’egli era vero, che la mentovata Immagine lagrimasse, e a tutte le parti versasse sudore, come infatti seguì per lo spazio di sei ore, cioè dalle quindici del giorno suddetto fin alle ventuna (dalle ore 8 alle 14). Venuto pertanto al Sacro Tempio in un subito mutossi, di fiero Leone in mansueto Agnello; e il rimanente dei Capitani con tutto l’Esercito, di rapaci lupi, divenuti humili pecorelle, si videro immantinente levare gli elmi, e trattesi le armature; altri donarono gli stendardi, altri le giubbe e altri le vestimenta; e chi più poteva, oro, argento, anella ed altre preziose cose, per honorare la Misericordiosa Regina del Cielo, avanti alla quale, prostrati, con lagrime sugli occhi e con profondi sospiri non si saziavano di chiedere misericordia nel loro errore”.
E in questo momento, mirabile esempio per tutti, Lautrec depone l’elmo e la spada ai piedi della vergine, seguito dal fratello Tomaso di Foix mons. di Lescuns.
Il resto della popolazione, radunata e impaurita nella chiesa di San Martino, udiva le voci osannanti al miracolo e il suono “più volte dell’Ave Maria”, ma non voleva credere, dubitando di un tranello dei Francesi per far uscire la gente dal sacro luogo. Ma, moltiplicandosi voci e suoni, alcuni si spinsero fino a S. Agostino e subito trornarono gridando che veramente la Madonna piangeva.
Fu allora che il vicario Serbelloni si mosse alla volta del convento e, osservata l’immagine affrescata sulla parete esterna del campanile, sotto il piccolo atrio, e constatate le lagrime abbondanti che sgorgavano dagli occhi e come da tutta la figura stillasse sudore, da massima autorità religiosa e testimone di così grande avvenimento, volle prima esaminare che non vi fosse trucco nel muro retrostante. Solo la figura della Madonna trasudava mentre erano asciutte le figure di S. Agostino e S. Nicolao da Tolentino, poste ai lati dell’affresco. “entrò dunque il Vicario nel campanile, seguito dai suoi canonici, dal cancelliere del Comune, da Bernabò Visconti e da militari francesi fra i quali Lautrec… Compì quegli espedienti per accertare il vero; e all’uopo spinse, scavando, un pugnale nel muro all’altezza del viso della Vergine”. Non trovò che un normale muro di sabbia e sassi.
Il Vicario tornò allora tra la folla, proclamando il miracolo, e si avviò a darne notizia al popolo in S. Marino, mentre il Lautrec “fece largo dono di denari”.
Poco dopo Serbelloni, clero e un’immensa folla muovevano in solenne processione da San Martino verso Sant’Agostino, a rendere grazie alla Madonna per la salvezza di Treviglio.
I soldati francesi, dopo aver “con bambagia e fazzoletti” asciugate le miracolose lacrime della Beata Vergine “per devozione conservarle”, partirono diretti verso l’Adda e Milano, già il giorno seguente, primo marzo »
(Piero Perego, Ildebrando Santagiuliana. Storia di Treviglio. Parte Seconda. Edizioni Pro Loco Treviglio, 1987)

Note:
Emanuele Lodi. Breve storia delle cose memorabili di Trevì. Milano, Ramellati, 1647
« Bernabò Visconti, figlio di Francesco Bernardino, appartenente al ramo cadetto di Brignano.
Fedele alla causa dei Francesi, combattè con loro varie battaglie, visse in Francia, nel Delfinato. Morì a Sait Symphorien d’Ozon (Isère) nel 1532.
Ai tempi degli eventi di Treviglio risiedeva in Brignano, carissimo al re di Francia che l’aveva creato gentiluomo di camera e che, col grado di capitano di cavalleria, gli aveva conferito il cavalierato dell’Ordine di San Michele.
Non ci è possibile immaginare su quali criteri il Visconti abbia dato la sua risposta positiva all’invito dei trevigliesi a far da paciere quando, da grande uomo politico, doveva ben sapere che la salvezza del suo feudo di Pagazzano e Brignano era legata alle sorti del Lautrec contro il Ducato di Milano. Era dunque consapevole che, privando l’esercito francese del saccheggio di Treviglio e dei provvigionamenti, sarebbero mutati anche i rapporti dei soldati nei confronti del generale Lautrec e quindi la loro efficacia bellica.
Causa questa, non sola ma determinante, della sconfitta dei Francesi alla Bicocca, unitamente ai suoi mercenari svizzeri che l’attendevano oltre l’Adda »
(Piero Perego, Ildebrando Santagiuliana. Storia di Treviglio. Parte Seconda. Edizioni Pro Loco Treviglio, 1987)

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