Treviglio Amarcord

Treviglio Amarcord, un tuffo nel passato cittadino fino ai giorni nostri.Ricordi, curiosità, racconti, foto, filmati, cartoline, documenti e disegni storici della città. Da un’idea di Virginio Monzio Compagnoni. email: [email protected] Buon Amarcord a tutti !!

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Parrucchieri Trevigliesi

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Parrucchieri Trevigliesi

Angelo Comotti  : Quanti volti conosciuti. Mario Gorla, Gigi De Pascalis e tanti altri ancora che hanno fatto la storia dei parrucchieri a Treviglio.

Tiziana Poletti  : Il primo a sinistra è Gorla zio di mio marito
Il negozio era in via Verga ed era anche maestro di parrucchieri.

Paula Rossini  :  Mio nonno  il secondo in basso da destra, quello che si sta abbassando 😊Francesco Cassani aveva il negozio dove adesso c’è Maggi, il panettiere

Lorena Colombo :  Il primo a sinistra che fa capolino è mio suocero Daniele

Irma Rinaldi : Tarcisio Gusmini

Roberto Nicolao : In piedi,nella mezzeria del quadro la capigliatura giovane e inconfondibile di Tiziano 

Samuele Anghinoni : Grande Gigi, diceva così anche delle schedine! Se faceva 12 o 13 si era dimenticato di giocarle, se le aveva giocate aveva fatto 11

http://virgi.altervista.org/2018/05/05/parrucchieri-trevigliesi-gorla-gigi-al-gali-tiz-solari-pippo/

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Rievocazione Storica : Miracol Si Grida

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Rievocazione Storica : Miracol Si Grida

Treviglio Miracol si grida

Miracol si grida è una sfilata e rievocazione storica che si svolge nel centro storico di Treviglio la prima domenica di marzo di ogni anno , per commemorare il Miracolo che salvò la città di Treviglio da distruzione certa il giorno 28 febbraio 1522.

Treviglio (BG) Rievocazione storica festa del Miracolo della Madonna Della Lacrime

Miracol si grida 2018

Da : bergamo.corriere.it

di Rosanna Scardi

Costumi d’epoca, armi e 250 figuranti per uno spettacolo che fa rivivere la storia a cielo aperto. La rievocazione «Miracol si grida!» si rinnova domenica a Treviglio per la diciassettesima edizione.

L’evento, organizzato dalla Proloco, chiuderà la festa patronale che ricorda il 28 febbraio 1522 quando la città fu salvata dall’invasione francese dopo che le lacrime sgorgarono dall’affresco della Madonna dipinta su un muro del Monastero delle Agostiniane. I Cantù di Martinengo hanno fornito gli abiti, mentre le compagnie di teatro dialettale Zanovello e Bonfanti hanno messo a disposizione attori e guide.

Alle 15, i quattro cortei composti dalle classi più agiate partiranno da via Roma, Galliari, San Martino, Sangalli, ovvero le porte Zeduro, Torre, Nuova e Filagno, per confluire verso piazza Insurrezione. Ad attenderli ci saranno i popolani, indaffarati nei mestieri in campagna, che scacceranno la legione francese, impersonata dagli Amici del cavallo di Caravaggio. Il gesto farà infuriare il generale d’Oltralpe Odet de Fois, visconte di Lautrec, descritto nei documenti dell’epoca come «più duro del diamante, più crudo della tigre, più saldo dello scoglio». Il comandante sarà interpretato da Giovanni Grippa, caravaggino, professione macellaio, avvolto da un mantello rosso, con l’elmetto adornato dalle piume, l’armatura in ferro, attorniato dai fidi cavalieri e dai soldati. A quel punto, 4 consoli invocheranno pietà, presentandosi davanti a lui scalzi, con il cappio al collo e le chiavi del borgo. Poi ci proverà anche Bernabò Visconti. Dalla chiesa di San Rocco uscirà anche monsignor Serbelloni, interpretato dallo scultore trevigliese Bruno Manenti, accompagnato dal clero, che reciterà una preghiera. Ma ogni tentativo risulterà inutile. Il generale sguainerà la spada alzandola al cielo in segno di sprezzo. I cortei si muoveranno, poi, verso piazza Garibaldi dove il popolo, calandosi nella parte con grande partecipazione e tra lo scampanio a festa, annuncerà il miracolo avvenuto all’alba. Tutti si riverseranno in strada e avverrà la conversione: il terribile comandante, commosso, risparmierà Treviglio. Alle 16.30, in piazza Cameroni Lautrec deporrà l’elmo davanti all’immagine sacra, mentre il popolo intonerà l’inno a Maria. E in piazza Garibaldi alle 17.15 il gran finale con l’esibizione degli sbandieratori di Urgnano. La sfilata, animata dal volteggiare delle bandiere, sarà accompagnata dal rullio dei tamburi e dalla melodia delle chiarine. La regia della rievocazione è affidata a Gianpietro Sangaletti.

 

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Giovan Battista Dell’Era

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Giovan Battista Dell’Era

Treviglio 20 Maggio 1765  –  Firenze, 7 Gennaio 1799

Figlio di Giovanni Maria di professione “ramero”, nacque a Treviglio (Bergamo) il 20 maggio 1765 (Treviglio, parrocchia di S. Martino, Registro delle nascite 176168).

La famiglia, a dispetto della tradizione che associa l’umile attività del padre a una sua precaria posizione economica, doveva invece avere una dignitosa collocazione sociale se il padre dell’artista poté far parte del Consiglio cittadino, al quale accedevano coloro che erano in possesso di un reddito annuo di almeno 600 scudi.

Il precoce avvio del D. alla pittura, forse in contrasto con la volontà paterna, avvenne a Bergamo, dove egli compì il proprio apprendistato presso F. Capella. Rimane comunque una traccia dei rapporti artistici dei D. con la città natale in un disegno giovanile (Milano, Castello Sforzesco, Gabinetto dei disegni), copia del dipinto con SGerolamo nello studio del Genovesino, esposto nella parrocchiale trevigliese di S. Martino. Influì fortemente sull’artista la frequentazione nei primi anni ’80 dei corsi presso la neocostituita accademia di belle arti di Brera, il centro lombardo più aggiornato sul nuovo orientamento neoclassico, ai quali poté accedere grazie alla sovvenzione assicuratagli dall’orefice L. Varisco. Tra i suoi maestri presso l’istituzione braidense vi era lo scultore G. Franchi, il quale segnalò il D. come uno dei migliori allievi nel disegno al canonico P. Paruta incaricato di indicare al conte Pietro de Salis, governatore e capitano della Valtellina, un valido maestro di disegno per i suoi figli (Bondo, Arch. de Salis, Lettere al conte Pietro178386, n. 11, 1783 apr. 8). E infatti nell’agosto 1783 il D. è documentato con questo ruolo a Bondo nei Grigioni, dove si trattenne probabilmente per tutto l’anno successivo, intessendo rapporti di familiarità con il conte Pietro de Salis e la moglie Anna. Da una lettera autografa del marzo 1785 si ha notizia della sua presenza a Roma per un primo soggiorno di studio finanziato dal de Salis; del suo generoso protettore, tra l’altro, l’artista afferma di aver compiuto un ritratto su ordinazione della moglie e di averne lasciato un altro a Treviglio (ibid., Lettere alla contessa Anna 17741788, n. 29, 1785 marzo 16).

Trascorse tuttavia l’estate 1785 ancora a Bondo, sempre in qualità di maestro di disegno dei giovani de Salis, jack e jerome, l’ultimo dei quali in una corrispondenza con la madre dava notizia di due -dipinti eseguiti dal D. aventi per soggetto le Montagnes de glace ed un Camoscio vivo (ibid., n. 32, 1785 ag. 23; n. 34, 1785 sett. 7).

Al di là delle probabili commissioni della famiglia de Salis – tra le quali figura, con qualche incertezza riguardo all’autografia, un imponente erbario conservato nell’Archivio di Bondo, tradizionalmente ascritto, secondo gli eredi de Salis, alla mano del D. -, è certo che il conte, riconosciute le sue indubbie doti artistiche, gli consentì di recarsi a Roma per un secondo e duraturo soggiorno di studio, garantendogli un sussidio biennale di 50 zecchini (ibid., n. 104, 1786 sett. 16; n. 151, 1787 marzo 10; n. 155, 1787 apr. 24; n. 168, 1787 luglio 28). Sullo scorcio del 1785 il D. partì per Roma dopo essersi trattenuto per qualche tempo a Milano, per assolvere alle commissioni di ritratti in miniatura per il conte Giovan Battista Vertova di Bergamo (il quale [Tassi, 1793] possedeva anche del D. un Alessandro il Grande in atto di donare ad Apelle la bella Campaspe) e per il conte Greppi di Milano, incarichi che gli valsero importanti lettere di raccomandazione (ibid., n. 43, 1785 dic. 27).

Roma offrì al D. uno degli ambienti più stimolanti dell’epoca; un appoggio determinante gli venne dal neocletto cardinale di origine bergamasca Francesco Carrara, fratello di Giacomo – il futuro fondatore dell’omonima Accademia di Bergamo – ed a sua volta intenditore d’arte. Il cardinale infatti gli commissionò il proprio ritratto (Bergamo, Arch. d. Accademia Carrara, cart. VII, fasc. III, n. 91, 1786 febbr- 4; identificabile con il dipinto conservato presso la sede municipale di Bergamo, inv. n. 164852) e lo introdusse nel cosmopolita ambiente artistico romano, raccomandandolo ad Angelica Kauffffiann (cfr. R. Paccanelli, La formazione della Galleria di Giacomo Carrara fino al catalogo del 1796, tesi di laurea, Univ. degli studi di Milano, a.a. 1976-77, II, pp. 144 ss.).

La pittrice svizzera strinse col D. un intenso rapporto di amicizia e un duraturo sodalizio. Ciò valse probabilmente al giovane trevigliese l’ingresso in una selezionata cerchia di artisti neoclassici che, coordinati da C. Unterberger e sotto gli auspici del consigliere russo e di Sassonia-Gotha, residente a Roma, J.F. Reiffenstein e del bergamasco Giacomo Quarenghi, architetto di corte dell’imperatrice Caterina II, eseguirono all’encausto la riproduzione a grandezza naturale delle Logge vaticane di Raffaello, che furono ricomposte dal Quarenghi nell’Ermitage di Pietroburgo, dove attualmente ancora si trovano.

Secondo le Memorie per le belle arti (Roma 1788, IV, p. CLII), in questa impresa, conclusa nello stesso anno, spetterebbero al D. le pitture di storia ed altre figure e putti sparsi sui pilastri tra gli ornati, cui collaborarono anche Felice Giani e Andreas Nesselthaler, mentre i paesaggi si devono a L. Campovecchio e gli ornati a G. e V. Angeloni. é evidente che la partecipazione ad un’opera di tale rilievo aprì al D. le porte di una committenza internazionale attenta a tutto quanto avveniva a Roma, città dalla quale l’artista sembra si sia raramente allontanato.

All’inizio del 1787 egli inviò a Bologna da Roma la tela, moderatamente innovativa nel taglio compositivo e nell’ambientazione classica, raffigurante Egeo che riconosce il figlio Teseo (Bologna, Gall. com. d’arte moderna; disegno preparatorio nella Bibl. com. di Treviglio), per la prima edizione del premio curlandese di pittura, e venne proclamato vincitore il 12 febbraio. Solo nella primavera 1789 lasciò Roma per alcuni mesi: tra il maggio e il giugno era infatti a Firenze impegnato a copiare i dipinti della “Galleria dei lavori di commesso”, entrando così in contatto con il direttore L. Siries con il quale manterrà anche in seguito rapporti di stima e di collaborazione. Sul finire del suo soggiorno fiorentino, che si protrasse almeno fino all’ottobre di quell’anno, venne eletto accademico delle arti del disegno (13 sett. 1789. È lecito supporre che in quei mesi il D. si dedicasse a riprodurre in disegni al tratto la Porta del Paradiso del battistero fiorentino, opera di L. Ghiberti, probabilmente su incarico di J.-B. Séroux d’Agincourt, dedito in quegli anni alla raccolta della documentazione per la sua monumentale Histoire de l’art par les monuments (Paris 1823).

Di tale iniziativa rimane traccia in una breve nota al testo in cui l’autore, pur non citando il D., dice eseguite nel 1790 le incisioni raffiguranti la porta ghibertiana (tavv. XLI e XLII). Se ne ha invece una testimonianza diretta nel gruppo di disegni del D. divisi fra il Gabinetto dei disegni del Cast. Sforzesco di Milano e la Bibl. com. di Treviglio, che riproducono sei delle dieci formelle ghibertiane -rispettivamente ilSacrificio e l’ebbrezza di Noè, la Nascita di Esaù e di Giacobbe e la benedizione di IsaccoGiuseppe venduto ai mercantiMosè riceve le tavole della Leggeil Trasporto dell’arcaDavide contro i Filistei -, le figure di due Sibille e di unProfeta poste ad ornamento dei battenti, nonché parte del rilievo frontale dell’arca di s. Zanobi del Ghiberti, conservata nel duomo fiorentino, con il Miracolo del santo, pure riprodotto nell’Histoiie de l’art (tav. XLII). Tale collaborazione rivela nel giovane D. un chiaro interesse per gli sviluppi del dibattito artistico e dei contemporanei orientamenti di gusto rivolti alla riscoperta dei primitivi italiani.Mentre era ancora a Firenze, nel luglio 1789, il D. ottenne dall’accademia di belle arti di Brera, per i meriti dimostrati in due disegni raffiguranti la Morte di Socrate Platone fra i discepoli, un sussidio temporaneo per il perfezionamento degli studi a Roma, che gli venne riconfermato fino all’agosto 1791, quando subentrò a pieno titolo nella pensione all’austriaco M. Köck, allievo di M. Knoller, per i quattro anni successivi (fino al 7 ott. 1795; Arch. di Stato di Milano, Studi P.A., cartt. nn. 199, 202, 203)È possibile che fosse proprio il Köck, stretto amico di Giani, a introdurre il D. nella cerchia dei giovani artisti gravitanti intorno all'”Accademia de’ Pensieri” avviata nel 1790 dal Giani stesso, che già peraltro il D. aveva avuto modo di conoscere durante la collaborazione all’impresa delle copie raffaellesche per Caterina II.

La frequentazione del gruppo di artisti riuniti attorno al Giani – P. Benvenuti, G. Bossi, V. Camuccini, F.-X. Fabre, L. Sabatelli e probabilmente anche B. Gagneraux, A.-L. Girodet -, tramite l’assiduo confronto fra i partecipanti e la libera interpretazione di soggetti prevalentemente di storia, si tradusse in stimoli alla libertà espressiva e all’affinamento delle potenzialità inventive. La versatilità disegnativa del D. era particolarmente apprezzata da Quarenghi che dalla Russia mantenne continui rapporti epistolari con il consigliere Reiffenstein, sollecitando ripetutamente tra il 1790 e il ’91 l’invio di disegni e di dipinti all’encausto del giovane, per il proprio gabinetto privato.

In una lettera da Pietroburgo del luglio 1791 il Quarenghi giunse a precisare i soggetti desP derati – Alessandro ilGrande nello studiodi ApelleFrancesco I in mezzo ai grandi artisti italiani chiamati alla sua corteOvidio mentre scrive il libro dei Tristia, copia di un dipinto della Kauffmann -, dichiarando tra l’altro tutta la sua ammirazione per la tecnica dell’encausto (Bergamo, Bibl. civ., Minutarioc. 86v, Pietroburgo, 1791 luglio 11). Questo rapporto privato si intrecciava negli stessi anni con le commissioni ufficiali per una nuova serie di decorazioni all’encausto destinate al palazzo di Caterina II a Carskoe Selo che ancora nel 1794 appaiono in via di realizzazione (Ibid., Minutario, lettere del Quarenghi al Reiffenstein da Pietroburgo: cc. 69v-70, 1790 apr. 5, richiesta di otto quadri di soggetto imprecisato; c. 79v, 1790 sett. 27, generica segnalazione di un nuovo incarico; c. 86, 1791 luglio 11, compimento di quest’ultimo). Il D. tendeva ormai a specializzarsi nel genere dell’encausto che, seppur tenuto in scarsa considerazione negli ambienti artistici più colti (si cfr. l’atteggiamento fortemente critico da parte di esponenti dell’Accademia di S. Luca, testimoniato da una lettera del Quarenghi: Bergamo, Bibl. civ., Minutario, c. 73v, Pietroburgo, 1790 luglio 5), incontrava invece il favore della committenza straniera, attratta dal carattere antiquario della tecnica; nel giugno 1792 il D., sempre a Roma, decideva pertanto di aprire uno studio di pittura a encausto in via dell’Angelo Custode nella parrocchia dei Ss. Vincenzo e Anastasio in Trevi, ove trasferì anche la sua abitazione.

Contemporaneamente si precisava il suo interesse per la ritrattistica che doveva costituire l’altro principale settore di attività, a tutt’oggi peraltro scarsamente documentabile: dal dipinto di A. Kauffmann raffigurante la Famiglia Bariatinsky(1791) trasse il disegno per l’incisione eseguita da R. Morghen nel 1793-94, a questi stessi anni si possono ragionevolmente assegnare alcuni dipinti della Bibl. com. di Treviglio, quali l’Autoritratto, che mostra l’artista ormai trentenne, e il Ritratto del maggiore Crispin WainchCrasnacuse di Pietroburgo, risalente con tutta probabilità ai contatti del pittore con l’ambiente russo. Il gusto per l’acuta caratterizzazione fisionomica che, secondo quanto si apprende da una breve biografia redatta su notizie fornite dal fratello Domenico (Brambilla, 1820; cfr. Deri, 1965), dovette rendere attraenti all’ignoto acquirente inglese i trentatrèRitratti di maschere schizzati in un teatro romano durante una sera di carnevale, e confermato anche da un folto gruppo di disegni dal vero e di caricature per lo più nella raccolta trevigliese.

Oltre che nelle gustose notazioni realistiche, il pittore amava cimentarsi in amabili composizioni di gruppo nel gusto dei conversation pieces inglesi, come appare in un delicatissimo disegno raffigurante una Compagnia di gentiluomini in una radura – forse la cerchia della Kauffmann e di Goethe – (Roma, coll. privata), nell’incisione tratta da un soggetto del D. rappresentante la Passeggiata mattutina della contessa Tschernyscheff con suo fratello nella villa Borghese, e in una delle quattro Vedute romane (Firenze, Museo dell’Opificio delle pietre dure), dipinte in collaborazione con F. Partini, al termine della sua breve carriera pittorica (1798).

La fama dell’artista rimane comunque legata ad un soggetto sacro, la pala di Ester davanti ad Assuero, eseguita grazie alla mediazione del conte Carrara, per la cappella del Rosario nella basilica di S. Martino ad Alzano Maggiore (Bergamo), ove tuttora si trova.

Il dipinto, preceduto da una numerosa serie di studi sia grafici sia pittorici conservati a Treviglio e all’Accademia Carrara di Bergamo (disegno n. 2050; bozzetto a olio n. 556), venne inviato da Roma nell’estate 1795, come si desume da una lettera del luglio scritta da P.A. Alberici, segretario del defunto cardinale Francesco Carrara, al conte Giacomo in cui ne annunciava la prossima consegna (Bergamo, Arch. d. Accad. Carrara, cart. VIII, fasc. IX, n. 21, 1795 luglio 7). Il carteggio intercorso fra i due, tra l’autunno 1794 e la primavera successiva, documenta anche il persistere deì rapporti di collaborazione fra l’artista e il conte per incarichi di minore entità, quali la supervisione di coni per medaglie e forse anche la redazione dei disegni per gli stessi (Ibid., ibid., nn. 17, 18, 20); del resto nove anni prima, nel 1786, il nome del D. era già stato segnalato dal Carrara per l’impostazione grafica di una medaglia con l’effigie dell’abate bergamasco P. A. Serassi, studioso del Tasso (lettera cit., 1786 marzo 22).

Il 16 luglio 1796 il pittore sposò Maria Teresa Brambilla, che dimorava insieme con la madre Rosa Traglioni in palazzo Farnese, dove anche il D. si trasferì all’indomani del matrimonio, subito funestato dalla prematura morte della moglie avvenuta il 14 nov. 1797, a pochi mesi di distanza dalla nascita del figlio Raffaele il 29 aprile dello stesso anno. Nella primavera 1798, dopo l’occupazione francese della capitale e la proclamazione della Repubblica romana, il D. si trasferì a Firenze col figlio: la biografia del 1820 (Brambilla; cfr. Deri, 1965) attribuisce questo improvviso allontanamento all’esecuzione di un sipario controrivoluzionario, ragione peraltro contraddetta da due fogli del Castello Sforzesco di Milano, inneggianti alla rivoluzione. Più probabilmente, la rarefazione degli incarichi privati per una committenza straniera di passaggio, dovuta alla difficile situazione socio-politica della Roma giacobina, spinse il D., come molti altri artisti del tempo, a cercare nuove occasioni di lavoro nella più tranquilla capitale del Granducato di Toscana, ove aveva soggiornato alcuni anni prima.

Qui infatti gli incarichi non gli mancarono: il 16 apr. 1798 fu compensato dalla “Galleria dei lavori di commesso” per aver dipinto a olio le figure in quattro Vedute di Roma – rispettivamente il Tempio della Pace, il Tempio di Giano, il Ponte Mollo, il Foro di Nerva – commissionate a F. Partini, autore dello sfondo architettonico, come modelli per una serie di quadri da eseguirsi in pietre dure. Sulla base dell’analisi stilistica delle figurette: presenti in particolare nella Veduta del Foro di Nerva e considerati anche i rapporti di familiarità del D. con Siries, direttore della galleria, si è recentemente proposto di attribuire alla sua mano anche l’assortoRitratto della famiglia Siries (Firenze, coll. privata; cfr. Giusti-Mazzoni-Pampaloni Martelli, 1978, p. 330), già assegnato al francese J. Sablet, attivo a Firenze nell’ultimo decennio del secolo (S. Pinto, Gruppo di famiglia in un interno, inScritti di storia dell’arte in onore di UProcacci, Milano 1977, II, pp. 64-20).

Contemporaneamente l’artista eseguì per la cupola della cappella dedicata a S. Maria del Conforto nel duomo di Arezzo quattro cartoni raffiguranti rispettivamente lo Sposalizio della Vergine, la Visitazione, l’Adorazione dei magi, la Disputa nel tempio, di cui si conservano al Gabinetto dei disegni degli Uffizi numerosi studi preparatori. Ad Arezzo si recò egli stesso il 31 maggio 1798, impegnandosi insieme con L. Sabatelli ad eseguire per il duomo un grande quadro con Abigail per soggetto.

Il D. morì prematuramente a Firenze nell’estate 1798 (si ignora la data precisa di morte dell’artista e il luogo della sua sepoltura), non prima tuttavia del luglio poiché in un disegno degli Uffizi egli ritrae se stesso inginocchiato col Siries e con il collezionista dei suoi fogli G. A. Santarelli, davanti al papa Pio VI nella certosa di Firenze dove questi era costretto in esilio dall’inizio dello stesso mese.

La decorazione della cappella aretina fu pertanto compiuta ad affresco sui cartoni del D. dal pittore L. Catani, mentre l’esecuzione della tela con Abigail che placa Davide (1806) spetta al Sabatelli.

Ancora ignota rimane in gran parte la produzione pittorica del Dell’Era. Risulta pertanto problematico delineare con chiarezza il suo percorso tenuto conto, nello scarno catalogo del D. a noi noto, della eterogeneità dei generi affrontati – pittura di storia (Socrate beve la cicuta), ritrattistica (due Autoritratti, due Teste femminili, tre Teste maschili, il Ritratto del maggiore Crasnacuse), pittura di paesaggio (due vedute di Villa in collina e di Giardino alberato), scene di genere (Interno con donna malata, opera pervenuta come i precedenti dipinti alla Bibl. comunale di Treviglio con il legato Oscar Dell’Era, 1931) – e della difficile collocazione cronologica, trattandosi spesso di studi e bozzetti, ad eccezione della pala di Alzano del 1795 e dei saggi pittorici connessi (il già citato bozzetto dell’Acc. Carrara, lo studio di teste di Ester e le ancelle della raccolta trevigliese).

 

La destinazione prevalentemente privata e internazionale dei due maggiori capitoli della produzione del D. – ritrattistica e pittura a encausto – può essere ragionevolmente individuata come la causa principale della dispersione della sua opera pittorica. Particolarmente ricco è invece il catalogo grafico dell’artista che con i tre cospicui nuclei di disegni della Bibl. comunale di Treviglio, del Castello Sforzesco di Milano e del Gabinetto dei disegni degli Uffizi a Firenze, per un totale di circa 350 esemplari, consente di individuare una imponente operazione di recupero dell’antichità classica, con particolare riferimento alle opere di statuaria (copie del gruppo ellenistico di Menelao sorreggente Patroclo, della testa diAntinooDioniso, rielaborazioni del Laocoonte), nonché della grande tradizione pittorica del classicismo romano da Raffaello a Annibale Carracci (copie di particolari degli affreschi della Farnesina, delle Logge e Stanze vaticane, del soffitto della Galleria Famese). La frequenza di soggetti desunti dai poemi omerici e dalla letteratura latina – Virgilio, Ovidio, Catullo – testimonia altresì l’adesione del D. a quella riedizione dell’antico inteso come inesauribile fonte di ispirazione per la riproposizione di un ideale di bellezza che ha il suo corrispettivo più prossimo nella teorizzazione winckelmanniana della “grazia”. Nella complessa articolazione del movimento neoclassico, il D. appare una personalità oscillante fra aperture preromantiche – cui si lega anche il gusto per la riscoperta dei primitivi italiani -, il recupero della tradizione tardo-settecentesca, soprattutto nella tipologia dei dipinti sacri, e una interpretazione lirica dell’antico che lo accosta alla vena più stemperata e amabile della Kauffmann. Tali componenti della pittura del D., via via riscontrabili nella già ricordata raccolta trevigliese, trovano rispettivamente conferma anche nelle acquisizioni più recenti al suo catalogo, costituite da unAutoritratto (mercato antiquario), da un bozzetto di pala d’altare con l’Imperatore Traiano e il generale Placido (Treviglio, coll. Banfi), per finire con l’inedita tavoletta di collezione privata bergamasca che raffigura un soggetto mitologico presumibilmente identificabile con Edipoa Colono. Un’ultima considerazione merita la possibile destinazione dell’abbondante corpus grafico delleriano: è verosimile che si tratti, almeno per alcuni nuclei tematici chiaramente individuabili – ad es. i soggetti omerici, biblici e del ciclo cavalleresco tassiano -, della produzione di materiali destinati all’illustrazione di testi o più semplicemente alla traduzione in incisioni tout court (si vedano ad es. le 4 stampe di G. B. Romero su disegni del D. con i Galli e il Senato romano – in due versioni – e con la Partenza e l’Arrivo della corsa dei berberi). Naturalmente si deve tener conto anche della redazione di disegni in sé compiuti per soddisfare la consistente domanda di prove grafiche da parte di un qualificato ed esigente collezionismo privato – valga il caso del Quarenghi -, fatte salve le possibili sorprese derivanti da un futuro arricchimento del catalogo pittorico dell’artista.

 Virginio Monzio Compagnoni ( Treviglio Amarcord )
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Cesare Battisti

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Cesare Battisti

“Cesare Battisti a Treviglio”.

Sabato 5 novembre 2016 Teatro Nuovo di Treviglio la scrittrice Carmen Taborelli presenta il suo nuovo libro “Cesare Battisti a Treviglio”.


Un’immmersione nella storia: Cesare Battisti, dopo essersi trasferito in Italia, soggiornò a Treviglio in via Sangalli 15. A lui è intitolata la Scuola Primaria Cesare Battisti di Treviglio e il Viale Cesare Battisti.

 

L’iniziativa è promossa dall’assessorato alla Cultura della Città di Treviglio e il Gruppo Alpini di Treviglio.

L’8 agosto 1914 Battisti, affiancato da Guido Larcher e Giovanni Pedrotti, fece pervenire al re Vittorio Emanuele III un appello nel quale il monarca veniva esortato a unire il Trentino al Regno, tentando prima coi mezzi diplomatici e, nel caso non fossero stati sufficienti, ricorrendo alle armi. Nel settembre 1914 Battisti, Larcher e Pedrotti, costituiscono a Milano la “Commissione dell’emigrazione trentina”, composta da un migliaio di affiliati.

L’11 agosto 1914, appena due settimane dopo lo scoppio della guerra austro-serba, il deputato Battisti abbandona il territorio austriaco e si trasferisce in Italia.

Qualche giorno dopo lo seguirà anche la moglie con i loro tre figli. Il fratello Giuliano, che era nato il 30 luglio 1868, rimane invece a Trento.

Verrà poi richiamato alle armi, inviato in una compagnia di disciplina e successivamente, essendosi ammalato, al domicilio coatto. Morirà prematuramente il 3 dicembre 1921 a seguito dei patimenti di quegli anni. 

 Battisti diventa subito un propagandista attivo per l’intervento italiano contro l’Impero austro-ungarico, tenendo comizi nelle maggiori città italiane e pubblicando articoli interventisti su giornali e riviste.

Tra le città in cui soggiornò vi è anche Treviglio dove risiedette in via Sangalli al numero 15.

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Trevigliese vecchie glorie di Bruno Frigerio

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Trevigliese vecchie glorie di Bruno Frigerio

Periodicamente mi assale un pò di nostagia. A chi ha vissuto quell’epoca sportiva penso piaccia rivederne gli attori in chiave moderna.Inventiamoci l’alibi che la ruota gira. Il merito è di Cariboni .

C.S.T. : Gli eroi degli anni d’oro ( di Bruno Frigerio ). Una vera chicca per gli appassionati di una certa età che rivedono alcuni “Eroi” come li hanno chiamati recentemente al TNT per festeggiare il 50 di quella famosa squadra. Goffi, Gira e Malinverno non avevano potuto partecipare alla manifestazione .Con loro anche Menotti. Il merito di queste foto è di Pietro Cariboni che con tanta passione ha raccolto e che mi ha trasmesso.Grandi personaggi per lo sport trevigliese e in particolare per la storia del C.S.T.

Gian Luigi Rigamonti

Treviglio Amarcord Sport ► Treviglio Amarcord Sport

 

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È morto a cento anni Trento Longaretti

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Fonte Eco di Bergamo
È morto a cento anni Trento Longaretti

trento longaretti

Il mondo dell’arte in lutto.

Era nato a Treviglio il 27 settembre del 1916. Bergamo lo aveva festeggiato per i cento anni con una serie di iniziative.

Era ricoverato alla Clinica San Francesco da qualche giorno ed è stato trasferito all’Hospice di Bergamo dove la mattina di mercoledì 7 giugno è morto.

Ancora non si conosce la data della cerimonia funebre che potrebbe essere alla chiesa del cimitero di Bergamo che era stata affrescata da lui. 

È morto per complicazione dovute all’età mercoledì mattina all’Hospice di Bergamo, il maestro trento Longaretti.

Aveva compiuto il settembre scorso 100 anni. Negli ultimi tempi era ricoverato alla Clinica San Francesco. Il mondo dell’arte e Bergamo in lutto per la morte di uno dei suoi rappresentanti più significativi che ha attraversato la storia dell’arte di un secolo.

TRENTO LONGARETTI - PITTORE
TRENTO LONGARETTI – PITTORE
(Foto by Sparaco)

Il padre Alessandro, di professione fabbro, scelse di chiamare i propri figli con nome patriottici, e Trento, nono figlio di tredici, avrà una sorella di nome Trieste e un fratello Vittorio; sarà la sua insegnante delle elementari a scoprirne il talento facendogli fare piccoli disegni che tratteneva, il primo disegno conservato dall’artista risale al 1922 .

Trento Longaretti ritocca una riproduzione della sua opera.
Trento Longaretti ritocca una riproduzione della sua opera.
(Foto by Gian Vittorio Frau)

Dopo i primi studi è a Milano, al Liceo e poi all’Accademia di Brera, dal 1931 al 1939. Gli è maestro Aldo Carpi per cinque anni, con il quale instaurerà un forte legame.

TRENTO LONGARETTI CON IL SUO LIBRO
TRENTO LONGARETTI CON IL SUO LIBRO
(Foto by Yuri Colleoni)

Nel 1939, deve lasciare la scuola a Brera per adempiere agli obblighi militari della Seconda guerra mondiale, viene mandato prima in Slovenia, poi in Sicilia e nel 1943 in Kosovo, numerosa è la raccolta di disegni e schizzi eseguiti durante questa sua esperienza bellica. I suoi modi d’artista si ritrovano nel filone della rivista Corrente, insieme a Morlotti, Guttuso, Sassu e Vedova.

TRENTO LONGARETTI
TRENTO LONGARETTI
(Foto by Yuri Colleoni)

Nel 1948, 1950 e 1956 partecipa di nuovo alla Biennale veneziana. Nel 1952 espone alla Quadriennale di Roma.

Ecco l’ultima intervista che aveva rilasciato a Emanuele Roncalli proprio in occasione dei suo centesimo compleanno.

Nel 1953 vince il concorso per la cattedra di pittura all’Accademia Carrara di Bergamo, succedendo ad Achille Funi.
Dirige l’Accademia fino al 1978, incarico che lascia di sua volontà.
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Presentazione Trattore modello ARIETE a Cuba

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Presentazione

Presidente Fiedel Castro, Dr. Motta, Sig.na Cassani

Presentazione Trattore modello ARIETE a Cuba - Presidente Fiedel Castro, Dr. Motta, Sig.na Cassani

Presentazione Trattore modello ARIETE a Cuba – Presidente Fiedel Castro, Dr. Motta, Sig.na Cassani

http://virgi.altervista.org/2015/03/10/treviglio-same-trattori-1968-cuba/

Breve Storia della Same Trattori

L’Archivio Storico e Museo della Same Trattori Treviglio

L’Archivio Storico e Museo di Same Deutz-Fahr, brand storico nel mondo della meccanizzazione agricola, rappresenta una miniera inesauribile di documenti e fotografie molto interessanti e preziosi per quanto riguarda la storia del nostro paese, per comprendere quanto l’agricoltura sia stata importante per il nostro sviluppo e quanto ancora oggi la terra ritorni a diventare uno dei più importanti fattori produttivi del futuro.

E allora, oltre ad ammirare i mezzi che conosciamo al lavoro nei campi, ad apprezzare i vecchi riti della civiltà contadina come l’aratura, la trebbiatura e tutte quelle spettacolari manifestazione che proviamo ad interpretare, vogliamo provare a conoscere meglio il ruolo della donna nel lavoro agricolo di un tempo.

Attraverso i documenti che l’Archivio ci ha fornito riusciamo a ricostruire quella che è la figura della donna “in campo” in un periodo di tempo che ricopre gli anni che vanno dal 1959 al 1999. Infatti, tramite diverse tipologie  di materiali conservati presso l’Archivio Storico SAME come delle bellissime fotografie, house organ, depliant e cataloghi pubblicitari, viene testimoniato l’importante, diremmo senza esagerare, determinante contributo femminile dato al lavoro agricolo.

Sottolineano dall’Archivio storico: “Sebbene il lavoro agricolo possa essere principalmente associato alla figura maschile, in realtà, già a partire dalla Prima Guerra Mondiale la presenza delle donne in aree considerate di appartenenza maschile, come il lavoro agricolo appunto, è un dato costante anche in Italia. Si parte dalla figura della mondina, legata alla storia del lavoro nella campagna dell’Italia settentrionale così come lo era la figura della raccoglitrice d’olive nel meridione”. La figura della mondina è stata fatta oggetto di mostre, studi e film importanti che tutti conosciamo.

Ma la storia del lavoro agricolo femminile non è fatta soltanto di questi ruoli e non è solo quella importante della mondinao della raccoglitrice di olive.

È anche segnata anche dalla collaborazione quotidiana ai lavori di campagna e di stalla. Il lavoro nei campi è sempre stato metafora di una fatica intensa e allo stesso tempo di soddisfazione e di orgoglio per quei prodotti che con fatica da questa terra si è sempre andati a tirar fuori. ma per la donna la fatica era ancora più intensa perché non doveva solo raccogliere le olive o il riso oppure aiutare in stalla o nei campi ma stare accanto alla famiglie e dirigere tutte quelle operazioni che fondamentalmente ad essa erano predestinate. Perché la famiglia era la principale, forse la sola, possibilità reale di sopravvivenza laddove la vita era particolarmente difficile: “Il lavoro della donna era fortemente legato alla famiglia, come possono testimoniare le numerose fotografie che ritraggono la donna impegnata nel lavoro in compagnia dei figli e del marito. Un esempio significativo di come la donna entra di diritto a far parte del mondo agricolo è la sezione di fotografie che illustra alcuni momenti dello svolgimento del corso per trattoriste presso l’Istituto di Meccanica Agraria di Treviglio; testimonianza di un particolare periodo storico, la fine degli anni Sessanta, denso di cambiamenti nella società italiana, nel costume e nel lavoro. Attraverso la formazione e la pratica, la donna acquista il bagaglio culturale necessario alla gestione di un’azienda agricola e possiede una specializzazione che le permette di far fronte a qualsiasi incombenza: potare viti e fruttiferi, coltivare fiori e ortaggi, nonché condurre un modernissimo trattore”. Le immagini che mostrano i volti sorridenti di queste splendide donne in campagna o alla guida di un trattore ci scuotono l’anima. Si tratta di una bellezza diversa da tanta bellezza ancora oggi sussiste soprattutto per chi la sa guardare.

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Taliana : Antonio Fasanini

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Anche se il Taliana frequentò Treviglio in un epoca successiva al 1898, egli viene citato nel film l’Albero degli Zoccoli,  proprio perchè il film è basato su racconti popolari dei contadini trevigliesi, e senz’altro l’ultima delle preoccupazioni in questi racconti è l’esatta cronologia delle cose.
Comunque quella del Taliana è una bellissima storia vera, che, anche se successiva alle vicende del film, val la pena di essere raccontata.
Ecco come lo descrive Marco Carminati nel suo libro “I giorni del baco”:

« … Infatti, come annotavano anche i cronisti, “l’uomo più povero del mondo ha avuto funerali da principe”. La cittadinanza di Treviglio e dell’intera plaga, sconvolta dal delitto, volle presenziare in massa alle esequie e fu letteralmente impossibile contare le corone al seguito del feretro. Un nugulo di sacerdoti testimoniò, insieme al popolo dei semplici di cuore, la riconoscenza per una vita spesa nella carità.

Da circa un ventennio Taliana, dopo lunghe peregrinazioni nella Bergamasca e nel Bresciano, distribuiva i suoi risparmi alle Missioni e alle Case della Provvidenza degli Oblati e delle Canossiane. Aiutando i contadini nel periodo delle mietitura e della vendemmia, ripulendo gli attrezzi rurali, spaccando la legna e le pietre, egli raggranellava soldarelli ovunque. Cambiate le monete spicciole nelle posterie di campagna, egli riuniva in un pacchetto banconote da cinquanta e cento lire, tenute ferme con un legaccio elastico, che deponeva poi in fondo alla sua ruvida bisaccia. Quanda felicità nei suoi occhi grigi nell’atto dell’offerta!
Il suo scarnito volto ascetico si coloriva per incanto, la sua curva persona si ergeva. Chi era Taliana? Era un vecchio, instancabile viandante che si accontentava dei riposi sui giacigli di fortuna, nelle stalle, sui fienili, nei sottotetti… »

(da I giorni del baco di Marco Carminati, romanzo. Narrativa Rusconi, 1992) Taliana3Taliana1Taliana2

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Alcune Opere di Trento Longaretti

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Alcune Opere di Trento Longaretti

L’amore per una città
Ho riscoperto Bergamo alta grazie al mio
amico Trento. Da piccola ci andavo con
mio padre, comperavamo certi dolci gialli al
liquore che piacevano molto a mia madre.
Poi tanti anni altrove, via per studio e lavoro,
ma lui, il pittore, mi ha insegnato ad
amare la sua città vecchia trasmettendomi
parte di quella tenerezza che sente per le
sue strade strette, sdrucciolevoli quando
piove. Tutti i posti hanno un odore e un
colore che restano dentro.
Quelli che ho in mente legati a Bergamo
sono il bianco rosato delle pietre restaurate
di palazzi e chiese nei dintorni
dell’Università e il profumo dei casoncelli di
certe trattorie lì vicino.
Negli anni abbiamo costruito i nostri ritmi.
Quando vado a trovarlo, Longaretti mi
aspetta nello studio all’ultimo piano della
sua casa in Borgo Canale. È una stanza
oblunga affacciata su un cortile acciottolato.
Da una parete a finestre entra una luce
straordinaria. Di solito sta dipingendo e
sotto il camiciotto da lavoro è elegantissimo.
Parliamo un po’ di mostre, qualche
novità della nostra vita, sfogliamo libri,
cataloghi, guardiamo i lavori appena ultimati.
Poi usciamo. Sempre lo stesso giro e
ogni volta mi accorgo di un portone che mi
era sfuggito, un fregio in alto, appena
sopra le finestre dell’ultimo piano di una
casa, un balcone in ferro battuto.
Camminando mi parla dei personaggi che
hanno calcato quelle stesse vie, degli
amici pittori scomparsi, di qualche giovane
che sta venendo su bene. Se abbiamo
tempo arriviamo fino all’Accademia, il
posto dove ha trascorso una lunga parte
della propria vita, dirigendola dal 1953 al
1978. Parlando di quel periodo un po’ la
voce si incrina, forse il rimpianto di anni
pieni di ardore. Ma prima dell’Accademia e
delle centinaia di ragazzi che hanno lavorato
con lui, Trento ha trascorso il tempo
della sua formazione a Milano.
Il professore di disegno delle scuole di
avviamento aveva fatto chiamare suo padre
per dirgli che il ragazzo doveva a ogni
costo continuare gli studi. Però andai a
Brera, racconta, non alla Carrara perché la
gente di Treviglio si spostava più verso
Milano che in direzione di Bergamo. A
Milano va in treno ogni mattina, con in cartella
i panini per il pranzo. La timidezza e i
pochi mezzi lo fanno sentire inadeguato,
così mangia in disparte dagli altri. Ma con il
trascorrere delle settimane scopre che
anche i compagni di classe hanno gli stessi
suoi problemi e comincia un’avventura
fatta di discussioni sul senso dell’arte in
quegli anni precari e duri.
Cassinari era lì, quando sono arrivato io,
nel 1935. Frequentavano i corsi con noi
anche Badodi al penultimo anno, Guerzoni,
Uboldi, Kodra, Dobrzansky, Felice Filippini
che era l’assistente di Carpi. Invece
Bergolli ha cominciato dopo, nel 1937 e
Morlotti nel 1939. A Brera negli anni Trenta
insegnavano Messina, Marini, Funi e Carpi.
Longaretti sceglie i personaggi inquieti di
Carpi e la loro ingombrante malinconia.
Intanto scopre Modigliani e Cézanne, i
maestri sogguardati per tutta la vita.
Bergamo entra nel suo quotidiano solo
attraverso le prime collettive o la partecipazione
a varie edizioni del “Premio
Bergamo”, divenuto nel tempo un glorioso
campo di verifiche artistiche.
La seduzione che la città esercita sul suo
temperamento aumenta quando comincia
a viverci, finita la guerra e si trasforma in
reciproco rispetto nei venticinque anni di
insegnamento alla Carrara. Longaretti
porta i suoi vaganti, le sue madri, le sue
religiosissime nature morte in ogni parte del
mondo, ma il luogo dove torna sempre con
impazienza è la cittadella che ormai ha
eletto a patria sentimentale. Oggi, a oltre
novant’anni, ne è quasi diventato un simbolo
e la gente lo saluta con un misto di
venerazione e sorpresa. Perché lui, il pittore
di Bergamo, dopo averti invitato a colazione
e riso e raccontato qualche vecchia
storia, a un certo punto si alza, prende il
cappello e dice, devo andare, ho un quadro
sul cavalletto da finire per domani

Trento Longaretti – Fondazione Credito Bergamasco

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Cesare Battisti

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Cesare Battisti

Un’immmersione nella storia: Cesare Battisti, dopo essersi trasferito in Italia, soggiornò a Treviglio in via Sangalli 15. A lui è intitolata la Scuola Primaria Cesare Battisti di Treviglio e il Viale Cesare Battisti.

cesare battisti

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Fondazione Portaluppi

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Fondazione Portaluppi Treviglio  

fondazione Portaluppi 2

Centro Culturale Ambrogio Portaluppi Treviglio

Chi era Mons.Ambrogio Portaluppi? : la storia

Mons.Ambrogio Portaluppi
Iniziò gli studi di sacerdote a Milano per completarli a Roma, all’Università gregoriana. A Milano conseguì la laurea in filosofia e teologia e, intrapresa l’attività di pastore, venne inviato a Treviglio il 1° Dicembre 1891 come Canonico Teologo della Collegiata e, dal 1913, come parroco.

Nel 1895 fondò l’Unione Rurale, il 1° Gennaio 1900 l’Unione Operaia, con sede in via Carcano 3, presso l’abitazione dello stesso Portaluppi.Il 13 Luglio 1901 la Società dei Probi Contadini di Castel Cerreto e Battaglie (costituita ufficialmente il 26 Settembre 1901).

Una delle più significative attività fu l’avvio di una campagna di promozione del risparmio e dell’accantonamento di piccole somme settimanali per far fronte al pagamento dei canoni di affitto. 15 Luglio 1905 la realizzazione della Casa S. Agostino con annesso teatro la Scuola Pratica d’Economia Domestica (5 Agosto 1909), la Società di Mutuo Soccorso (Novembre 1909).

Chi era Mons.Ambrogio Portaluppi? : la storia

 

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Agostino Cameroni ( di Penna Bianca )

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Agostino Cameroni ( di Penna Bianca )

Treviglio Amarcord  Penna Bianca Franci
PILLOLE di storia trevigliese —- a cui è intitolata una piazza, nato nel 1870, fu il primo deputato dichiaratamente cattolico ad entrare alla Camera dei Deputati dopo la decisione della Santa Sede di vincolare i cattolici all’astensione di esercitare il diritto di voto.

Laureato in Lettere, in Giurisprudenza, fondò con Filippo Meda “Il Corriere della Domenica”‘ fervido sostenitore della musica di Wagner, delle composizioni sacre di L.Pelosi, raccomandò la diffusione del canto corale nelle scuole.

Esercitò l’Avvocatura nel foro di Milano. consigliere comunale di Treviglio nel 1899, eletto deputato nel 1904, ottenendo la stima e considerazione degli avversari mostra ndo la sua profonda cultura e forte oratoria.

Morì a Caravaggio nel 1920 per un attacco cardiaco.

Agostino Cameroni ( di Penna Bianca )

Agostino Cameroni ( di Penna Bianca )

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Eco di Bergamo 29/07/2014

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Eco di Bergamo 29/07/2014

Treviglio

«Nell’entrar della chiesa a man sinistra ergersi da’ fondamenti si vede un campanile che con l’altezza di 125 brazza pare che s’asconda nelle nuvole».

Era il 1647 e le altezze si misuravano ancora in braccia – o meglio, in brazze – quando Emanuele Lodi, nella sua «Breve storia delle cose memorabili di Treì», descriveva con queste parole il campanile di Treviglio.

E se all’epoca la sua altezza era ancor più impressionante rispetto al giorno d’oggi, quando le moderne strumentazioni ci fanno affermare con precisione millimetrica che la sommità si trova a 62 metri e 42 centimetri, il mistero che avvolge la sua costruzione resta fitto e denso di quello stesso fascino che Lodi trasmetteva in quella poetica immagine della torre che si perde tra le nuvole.

Secondo la tradizione il campanile di Treviglio venne costruito a partire dal 30 agosto del 1008, dunque oggi avrebbe la bellezza di mille e sei anni. Ma è proprio così?

Ovviamente non è semplice dare una risposta a questa domanda.

Dalla sua sommità venivano scandite le «grida»: notizie sulla vita e sulla morte dei trevigliesi, ma anche su incendi, minacce, temporali in arrivo.andrea donghi foto treviglio

Tutto veniva comunicato dal campanile, un po’ come fosse un antesignano dei moderni organi di stampa.

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1957 Marcellino Pane e Vino

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1957 Marcellino Pane e Vinocopertina-1957

Santa Pasqua: 21 Aprile 
Presidente della Repubblica: Giovanni Gronchi
Papa: Eugenio Pacelli con il nome di Pio XII
DAL MONDO:  2 Gennaio Si fondono le borse di San Francisco e Los Angeles 25 Marzo Il 25 marzo, a Roma, sei Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo) firmano il “Trattato di Roma”, atto istitutivo delle Comunità Economica Europea (CEE) e Comunità Europea dell’Energia Atomica (EURATOM). 13 Aprile Milano apre il primo punto di grande distribuzione organizzata (supermarket).L’Egitto riapre il Canale di Suez. In Italia si pubblica il romanzo di Boris L. Pasternak “Il dottor Zivago”.4 Luglio In Italia è presentata la Fiat 500. 4 Ottobre L’Unione Sovietica lancia nello spazio lo “Sputnik 1”, primo satellite artificiale della storia, seguito il 3 novembre dallo “Sputnik 2”, con a bordo la cagnetta Laika.
FILM:  Orizzonti di gloria; Il ponte sul fiume Kwai; Il posto delle fragole; Guendalina; Cavalcata della risata.
MUOIONO:  14 Gennaio Humphrey Bogart, attore statunitense. 16 Gennaio Arturo Toscanini, direttore d’orchestra. 19 Luglio Curzio Malaparte, scrittore. 23 Luglio Giuseppe Tomasi di Lampedusa, scrittore.7 Agosto Oliver Hardy, comico statunitense (Ollio, nel duo Stanlio & Ollio). 25 Agosto Umberto Saba, poeta 24 Ottobre Christian Dior, stilista francese.
NASCONO:  23 Gennaio Caroline Grimaldi, principessa. 19 Marzo Claudio Bisio, attore e cabarettista.7 Maggio Barbara D’Urso, conduttrice televisiva e attrice. 21 Giugno Nino D’Angelo, cantante.5 Agosto Gianfranco Rosi, pugile. 22 Settembre Giuseppe Saronni, campione di ciclismo.
PREMI NOBEL:  Pace:  Lester Bowles Pearson. Letteratura:  Albert Camus. Medicina:  Daniel Bovet. Fisica:  Tsung-Dao Lee, Chen Ning Yang. Chimica:  Alexander R. Todd.
SANREMO:  1) “Corde della mia chitarra” Claudio Villa – Nunzio Gallo; 2) “Usignolo” Claudio Villa – Giorgio Consolini; 3) “Scusami” Gino Latilla – Torrielli.
SPORT:  Bob:  Un anno dopo la medaglia d’argento alle Olimpiade di Cortina, Eugenio Monti (il diavolo rosso delle Dolomiti) e Renzo Alverà, conquistano il Campionato Mondiale di Bob a due sulla pista di Saint Moritz.
       
     Ciclismo:  Gastone NencinI vince il Giro d’Italia
mentre Jacques Anquetil il Tour de France

    Tour de France 1957

 

 

 

Motociclismo:  Le marche italiane trionfano su tutte le categorie. Calcio:  Ribaltando la classifica dell’anno precedente, il Milan vince lo Scudetto davanti alla Fiorentina; il Real Madrid è di nuovo Campione d’Europa battendo la Fiorentina in finale. Automobilismo:  Con la vittoria nel GP di Germania, Manuel Fangio conquista il suo quinto Titolo Mondiale e il primo per la Maserati.

La storia della 500  

1957 Nasce Carosello

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F.lli Frigerio

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fratelli_frigerio_gilera_puch_2011

Milano – Motociclismo Fuoristrada di luglio, già in edicola, vi racconta la storia dei fratelli Luigi e Piero Frigerio, che con le loro moto Gilera e Puch hanno fatto la storia della regolarità e del più moderno enduro. Hanno iniziato la loro carriera nei primi anni Cinquanta, nella concessionaria Gilera ereditata dal padre Ercole, in cui prima hanno avuto un grande successo compre preparatori, poi come importatori poi ed infine veri e propri costruttori delle celebri e vincenti Puch Frigerio. Luigi e Piero Frigerio, nonostante sia passato qualche anno, sono ancora in piena attività e la loro voglia di fare appare immutata, come se il tempo si fosse fermato ai loro esordi motoristici. Entrambi nati ad Arcore, nel 1941 Luigi e nel 1946 Piero, si occupano oggi del restauro delle moto d’epoca, Gilera e Puch in particolare, cioè quei marchi che sono parte integrante del loro lungo trascorso lavorativo. Abbiamo incontrato i fratelli Frigerio nella sede della loro officina, a Canonica d’Adda, in provincia di Bergamo, proprio dove ridanno vita a quei gloriosi modelli. Ci ha raccontato tutto Luigi, mentre Piero era alle prese con il restauro di uno dei tanti motori Puch, che sono passati sotto i suoi ferri.

 

Tutto iniziò così. Dice Luigi: “Con le moto siamo cresciuti. Papà era un pilota che correva con la Gilera nei campionati sidecar nazionali ed internazionali con grandi risultati: tre volte Campione Italiano e tre volte Vice Campione del Mondo. Proprio questa sua attività sportiva gli diede l’occasione di aprire, nel 1951, una concessionaria Gilera a Treviglio, un’attività a cui si dedicò soltanto per breve tempo, perché appena un anno dopo perse la vita in un incidente di gara sulla pista di Berna. Fu mia madre a portare avanti l’attività negli anni successivi con l’aiuto di un meccanico che la Gilera ci aveva concesso, fin quando, in pratica, non iniziammo noi a lavorare. Non avevamo ancora diciotto anni quando prendemmo in mano la concessionaria e cominciammo a “pistolare” sulle moto. Io avevo anche iniziato a gareggiare nella regolarità, ma questa mia attività agonistica durò davvero poco, appena un anno. Dovevo mandare avanti la concessionaria e non avevo così tanto tempo da spendere in allenamenti e gare. Piero, invece, fece un bel po’ di gare di cross; era anche bravo, ma dovette arrendersi per un banale incidente in allenamento. Ad ogni modo in quegli anni nacquero le nostre prime elaborazioni che presto ci portarono a realizzare le Gilera Frigerio per le competizioni di regolarità. Le nostre preparazioni erano piuttosto ambite all’epoca, iniziate elaborando la famosa Giubileo 98 cc e portate avanti con successivi modelli, preparati in differenti cilindrate, che portarono i quattro tempi prima fino a 208 e poi fino a 230 cc”.

 

Per la troppa abilità dei fratelli Figerio, si ruppe il rapporto con Gilera. Spiega Luigi: “Successe che, ad un certo punto, con le nostre elaborazioni Gilera davamo fastidio ai concessionari che vendevano le moto originali e questi rivolgevano continue lamentele alla sede Arcore. La Casa ci richiamò, dicendoci che non andava bene che le nostre moto andassero così forte; in questo modo mettevano in cattiva luce in gara i modelli che venivano prodotti in serie. Diciamo che in Gilera c’era chi ci amava e chi ci odiava. Nel frattempo, la Gilera era entrata a far parte del gruppo Piaggio e poco tempo dopo fummo chiamati in sede per rivedere quelli che erano i nostri accordi commerciali che prevedevano, oltre la vendita in concessionaria, anche lavorazioni di pezzi speciali per le moto da competizione. Diciamo che ormai il rapporto era arrivato al capolinea”.

 

 

Ma il divorzio dalla Casa costruttrice italiana segnò l’inizio di una nuova era e portò ad un secondo matrimonio di successo. Continua Luigi: “L’era del due tempi era ormai iniziata e noi sui campi di gara avevamo già avuto modo di conoscere Hans Kramer che, all’epoca, era responsabile del Reparto corse dell’austriaca Puch. Fu così che nacque l’idea di importare quelle moto austriache e abbandonare la Gilera. Quella nuova prospettiva era, per noi, molto interessante e proprio per realizzarla creammo la società Racing Motor nel 1970 insieme con i soci già Ambrogetti e Cambiaghi, due giovani clienti-piloti che frequentavano all’epoca la nostra concessionaria che sono rimasti con noi fino al 1976”.

 

Con l’avventura Puch, naque anche una squadra corse gestita direttamente dai Frigerio: “Visto il successo delle nuove Puch ci spostammo, sempre a Treviglio, in una più ampia sede e creammo il nostro personale team da gara che ci portò piuttosto in fretta numerosi successi sportivi. I primi piloti furono Gritti, Gualdi e Paganessi. Vincemmo i titoli italiani della 125 e della 175 cc e la Valli. Nel 1972 Gritti fu primo assoluto con la 125 in quella prova; alla Fara, durante la premiazione, sembrava venisse giù la chiesa per gli applausi”.

 

 

Per fare delle Puch delle corsaiole vincenti, non mancavano le modifiche fatte nell’officina dei Frigerio:“Si preparavano per le gare migliorandole notevolmente nelle prestazioni con soluzioni tecniche non riscontrabili nella produzione di serie. Di base i motori erano di cilindrata 125 e 175, ma noi all’epoca realizzammo il 100 cc e sviluppammo il 175 fino a 207 cc per competere nella categoria da 250. In ogni caso eravamo sempre in stretto contatto con il reparto corse austriaco che allora contava non più di una ventina di persone, elementi di estrema competenza, alcuni dei quali in seguito vennero chiamati ad insegnare all’università di Graz. Il tutto durò fino al 1974 quando la Puch decise di eliminare la produzione di moto da competizione per il fuoristrada. Una notizia inaspettata, che ci avrebbe dato la possibilità di avere mezzi da vendere soltanto per un anno ancora. In quell’ultimo periodo, tra l’altro, avevamo già intrapreso la realizzazione del cinquanta da competizione che, l’anno successivo, avrebbe vinto con Perego la Sei Giorni dell’Isola di Man e ci dispiaceva parecchio che quella collaborazione non potesse avere seguito. Quel cinquanta l’avevamo preparato praticamente in casa nostra e vincere sulle Zundapp allora non era stata un’impresa da ridere”.

 

La Casa austriaca abbandonò l’avventura moto: “La Puch era un grande gruppo industriale, avevano un ufficio tecnico di prim’ordine, con quattrocento persone che curavano tutto, dagli adesivi delle biciclette ai cannoni dei carri armati; era una grande azienda con 18.000 dipendenti e certe decisioni giuste o sbagliate che fossero erano impossibili da discutere. In pratica le moto da fuoristrada erano per l’azienda austriaca una goccia nel mare a livello di fatturato, si guardava al business e non alla passione. Per loro il mercato delle due ruote era quello dei ciclomotori, dove facevano numeri impressionanti, circa 170.000 pezzi l’anno”.

 

Ma i Frigerio non mollarono e ottennero un nuovo successo: “Ciò che riuscimmo ad ottenere fu produrre personalmente noi le moto da fuoristrada, loro ci concedevano di utilizzare il marchio e noi ci occupavamo della produzione. Nacquero così le Puch Frigerio, le prime delle quali vennero fuori nel 1976, insieme ai rinnovati modelli da 50 e 75 cc. Erano moto interamente nuove rispetto al passato, nuova ciclistica, nuova estetica e nuovi motori Rotax a valvola rotante, che andarono ad equipaggiare i modelli da 125, 175 e 250 cc. Il successo di quelle moto fu enorme, anche se per mettere a punto quei nuovi due tempi mio fratello Piero passò mesi al banco prova consumando quantità industriali di miscela. Negli anni che sono seguiti abbiamo prodotto moto per tutta Europa. Per il mercato estero i mezzi venivano spediti in Austria dove si provvedeva a smistarli ai vari importatori dislocati in ogni singola nazione. In seguito semplificammo tutto, fornendo gli importatori direttamente dalla nostra sede di Treviglio”.

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Un Tuffo nel Passato

Treviglio Amarcord

Treviglio Amarcord, un tuffo nel passato cittadino fino ai giorni nostri.Ricordi, curiosità, racconti, foto, filmati, cartoline, documenti e disegni storici della città. 
Da un’idea di Virginio Monzio Compagnoni.
email: [email protected]
Buon Amarcord a tutti !!